A Otricoli, tra Umbria e Sabina, c’è un porto, il vecchio porto dell’olio sul Tevere. Anzi ce ne sono due. Quello attuale, che ogni mese di maggio rivive i fasti di Marco Aurelio ospitando Otricolum AD 168. Una tre giorni dedicata alla rievocazione storica dell’impero nel suo periodo di massimo splendore. A San Vittore, patrono di Otricoli, è riservata una fiaccolata in costume. Un manipolo di soldati sbarca con il santo in spalla e raggiunge il pontile che un cartello turistico indica come “Porto dell’Olio”, alla fine della passeggiata archeologica. C’è poi il vecchio porto dell’Olio, che contribuì alla prosperità del comune romano della Regio VI.
La guida racconta…
“Aveva l’approdo più a nord di quello attuale, e fino al Settecento questo scalo è stato secondo solo al porto di Ostia. Ovviamente il prodotto principe del commercio era l’olio extravergine di oliva”, dice la guida turistica Lucio Graziano. “Il vecchio porto dell’olio si trovava in un’ansa del Tevere che la cartografia indicava come Fiume morto – spiega – da qui partiva soprattutto l’olio della Sabina che Galeno definiva il migliore del mondo conosciuto. Ma alla fine del terzo secolo iniziò a serpeggiare il malcontento tra i contadini sabini. Ce l’avevano con il governo imperiale che iniziava a far arrivare l’olio da Spagna e Tunisia”.
Il vecchio porto dell’olio
Quest’ansa del fiume, oggi scomparsa, si trovava in corrispondenza dell’ingresso della via Flaminia in territorio umbro. Il vecchio porto dell’olio era importante anche per altri prodotti. Da qui, oltre all’olio, partivano per Roma carichi di grano, tegole, bolli e perfino le celebri “coppe di Popilio”. “Si tratta di anfore dal corpo allungato (per un migliore stivaggio in verticale nelle navi), create proprio nei dintorni di Otricoli. Questo tipo di anfore abbondano sul Monte dei Cocci a Testaccio. Appena giunte a Roma – spiega ancora la guida – erano scaricate, il prodotto trasferito in altri contenitori e le anfore distrutte”