L’olio extravergine di oliva è un tesoro da valorizzare. In Italia non ha ancora conquistato il posto che meriterebbe sulle nostre tavole. E pensare che fino allo scorso anno eravamo il secondo Paese produttore al mondo di olio d’oliva e il primo per varietà di cultivar. Ma il futuro dell’Evo è dorato, come il suo colore. Ci vuole tempo, così come ce ne è voluto per il vino.
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Gli anni ’90 insegnano
tesoro da valorizzare
Gli over 40 ricorderanno le “carte dei vini” nei primi anni ’90. Tranne rari casi la lista era piuttosto ridotta, concentrata su prodotti locali e i prezzi erano bassi, per il “vino della casa”, o molto alti. Poche le vie di mezzo. Oggi le “carte” si sono arricchite, superano abitualmente i confini regionali e si bevono ottimi vini a prezzi accessibili, sempre che l’oste non esageri nei rincari. Ecco, l’olio extravergine di oliva è come il vino negli anni ’90. Imbattersi in una “carta degli oli” è rarissimo, così come è raro, per esempio, avere la possibilità di scegliere, a seconda delle pietanze, tra tre oli con differenti livelli di intensità.
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Non solo furbetti
tesoro da valorizzare
Nonostante le normative impongano ai ristoratori di non portare in tavola bottiglie di olio prive del tappo anti-rabbocco, è piuttosto facile incappare in questa “disattenzione”. Ignoranza e furbizia, quando si parla di Evo, la fanno ancora da padrone. Eppure noi italiani di olio extravergine ne consumiamo tantissimo, così tanto che siamo costretti ad acquistarlo all’estero per soddisfare la richiesta del mercato interno. Ne importiamo, addirittura, quasi il doppio di quello che produciamo. E questo la dice lunga. Basta fare un giro nei supermercati per rendersene conto. Grandi e noti marchi italiani, o che di italiano hanno conservato solo il nome, imbottigliano in Spagna, oppure acquistano la materia prima in Tunisia, Turchia, Spagna, Gracia e la lavorano in Italia.
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Plinio il Vecchio ci aveva visto lungo
tesoro da valorizzare
In etichetta, per fortuna, ormai è obbligatoria la designazione di origine delle olive. È stata una battaglia lunga e difficile, vinta grazie soprattutto all’impegno di coltivatori e produttori e di associazioni di categoria come Coldiretti. Una battaglia che due millenni fa avrebbe combattuto anche Plinio il Vecchio (I secolo a.C.), il quale nella sua “Naturalis historia” scriveva, per l’appunto, che l’Italia aveva il migliore olio d’oliva del Mediterraneo.