La missione
sabina
Un nuovo caso da risolvere per MisterEvo: stessa azienda, stesso terreno, stessa altitudine, stessa raccolta (2020), stesse cultivar, stesso frantoio… siamo in Sabina.
Il colore è decisamente diverso. Cosa sarà successo? Ma soprattutto, cosa cambia all’assaggio?
La premessa è doverosa e non ci stancheremo mai di dirlo: un extravergine non si giudica dal suo colore, neanche appena franto. In questo caso, però, qualcosa è cambiato.
Analisi organolettica:
sabina
alla vista: al di là del colore, il “verdone” sembra più limpido, apparentemente meno grezzo.
al naso: entrambi i campioni palesano lo stesso panorama olfattivo, con sentori erbacei, di fieno, lieve di foglia di pomodoro e mallo di noce. Nel “verdone” questi profumi sono appena più intensi.
in bocca: le sensazioni rispecchiano l’analisi visiva e il “giallone” si presenta leggermente più grasso dell’altro. Al palato il “verdone” verticalmente sprigiona una nota di limone e appare più fresco. In chiusura troviamo stessa piccantezza ma diversa intensità di amaro, più decisa nel secondo, più equilibrata nell’altro. Il “verdone” è più persistente.
Prove indiziarie
sabina
La raccolta: le olive da cui è stato ottenuto il “verdone” sono state raccolte e frante la terza settimana di ottobre. Quelle da cui è stato ottenuto il “giallone” la prima settimana di novembre.
Cultivar: la prima raccolta ha una prevalenza di Carboncella rispetto alle cultivar Frantoio e Leccino
Ragionevole dubbio:
sabina
I ritmi del frantoio: e se per una mera congiuntura temporale l’olio ottenuto dalle olive frante a novembre fosse “incappato” quel giorno in filtri “stanchi”?
Disamina:
sabina
La spiegazione più plausibile, al netto degli elementi esaminati, è che a fronte di due rese medie differenti – quella del “verdone” pari al 10% rispetto al 13% del “giallone” – sulla qualità, seppur minimamente, del prodotto finale, abbiano influito più che altro i tempi di raccolta. Tre settimane, a prescindere dalle condizioni meteo, possono fare la differenza. Almeno in Sabina è così.
Conclusioni: beato chi ci capisce! Fare un buon Evo è una scommessa e ogni stagione di raccolta è diversa dall’altra. Pensare di produrre ogni anno lo stesso identico prodotto è impossibile. Ma provarci, intestardirsi e tentare di combattere i capricci della Natura è l’essenza di un extravergine di qualità.